Copia di Psicologia Apprendimento

Nati per Comunicare

In questo Articolo:

“Un bambino appena nato è tra le braccia della sua mamma: il calore del corpo materno gli da benessere, conforto e nutrimento. La madre lo mette nella sua culla e il neonato inizia a strillare copiosamente e a scuotere mani e braccia; essa lo riprende in braccio e lui si accoccola sereno e si addormenta”.

Questa tipica situazione delle neo-famiglie sembra banale ma in realtà ci dice molto; parliamo di un neonato ben diverso dall’essere isolato e limitato dal suo egocentrismo che veniva descritto dalle teorie psicologiche individualistiche.

Chi di voi appartenente alla scorsa generazione non ricorda di come i neonati venivano avvolti in fasce e di conseguenza immobilizzati? Tale pratica è stata via via abbandonata sia perché si è constatata la sua inutilità sia perché si è diffusa una maggiore consapevolezza di come sia importante permettere al bambino di esprimere i suoi bisogni e sentirsi libero.

Un approccio della Psicologia più recente, quello interattivo-costruzionista (Bates, Bruner, Camaioni, per fare qualche nome), ritiene infatti che il neonato sia un soggetto attivo e competente fin dai primi istanti di vita e che alcune abilità percettive siano presenti addirittura prima della nascita, nel periodo fetale.

Il bambino nel corso del primo anno di vita acquisisce sistemi articolati di scambio preverbale con alternanza di turni e inizia ad impiegare gesti per esprimere le proprie intenzioni (per es. un bambino di tre-quattro mesi può sorridere di fronte al papà che lo loda e gli sorride perché è  presente il cosiddetto “sorriso sociale”).

Vi presenterò ora qualche interessante studio scientifico sull’argomento.

Anolli e colleghi (2002) hanno rilevato che le parole che pronuncia la madre arrivano al feto con un’intensità di decibel più che doppia rispetto alle voci di altre persone; per questo i neonati, già nelle prime ore di vita, riconoscono e preferiscono il suono della voce della propria madre rispetto a quella di altre donne. La preferenza viene rilevata attraverso uno speciale succhiotto; il bambino, pur così piccolo, succhia più vigorosamente per ascoltare il nastro con la voce della propria madre piuttosto che quello di un’estranea.

Nei primi tre giorni di vita il neonato ha inoltre una preferenza per una storia nota (sentita leggere dalla madre o da un’altra donna durante le ultime sei settimane di gestazione) rispetto a una mai ascoltata (De Casper e Spence, 1986) e per una melodia ascoltata durante la gravidanza  rispetto a una melodia mai sentita (Lecanuet, 1998).

Uno studio recente (Farroni, 2007) ha scoperto inoltre che i neonati preferiscono l’immagine di una  faccia normale piuttosto che una vuota o scombinata e una faccia contenta piuttosto che paurosa.

Un’altra sorprendente ricerca ha rilevato che a una settimana di vita i bambini mostrano comportamenti diversi davanti a un batuffolo di cotone imbevuto di latte materno piuttosto che di latte di un’altra donna: cercano e si orientano decisamente verso il primo (Mac Farlane, 1975).

Una volta venuto al mondo, i successi interattivi del bambino consistono, ad esempio, nel costruire fin dalle prime settimane di vita, durante l’allattamento, un’alternanza sincronizzata di attività e pause in cui ha modo di apprendere il rispetto di turni comunicativi. Il neonato, poppando al seno, per esempio, alterna momenti in cui succhia ed è attivo (e la mamma è passiva) a momenti in cui sonnecchia (e la mamma lo incita a nutrirsi).

Inoltre a circa tre mesi il piccolo sa co-orientare gli sguardi su un dato oggetto dell’ambiente; tale abilità sarà padroneggiata stabilmente a nove-dodici mesi e consiste nella capacità di coordinare la propria attenzione con quella dei partners sociali, per poter condividere l’interesse verso un elemento del mondo esterno (attenzione condivisa) (D’Odorico, 2005).

Il genitore attribuisce qualità e fa commenti su ciò che attira l’attenzione reciproca e anche il bambino prende parte a questo processo con movimenti del corpo, sorrisi, vocalizzi e prime paroline.

Quindi genitore e bambino si configurano fin dall’inizio come un sistema interattivo che si autoregola e condivide significati; Schaffer (1977) definisce la coordinazione madre-bambino che si crea nelle prime interazioni “faccia a faccia” “pseudodialogo”; i neonati imparano ben presto a rispondere selettivamente ai comportamenti delle figure principali di attaccamento veicolati dalla direzione dello sguardo, tono di voce e contatto fisico. Le prime forme di comunicazione genitore-bambino andranno a costituire delle modalità che si ripeteranno nelle interazioni future.

Un aspetto strettamente connesso alla comunicazione precoce genitore-bambino è quello di “attaccamento” che John Bowlby (1907-1990), grande esponente di questo argomento, definisce una “predisposizione genetica a ricercare e mantenere la vicinanza con i membri della propria specie e, in particolare, con una che viene definita “figura di attaccamento” che si prende cura maggiormente del bambino”; vi è a tal proposito un periodo sensibile (sei mesi- un anno) per lo stabilirsi di un ottimale legame di attaccamento. La qualità dell’esperienza definisce la  sicurezza di attaccamento in base alla sensibilità e disponibilità del genitore e quindi la formazione, come sostiene Bowlby,  di “modelli operativi interni” ovvero schemi cognitivi interni sulla disponibilità attesa del genitore che andranno a definire i comportamenti relazionali futuri.

Uno studio interessante sull’attaccamento è stato condotto da Harlow nel 1969 sulle scimmie Rhesus; piccole scimmie furono separate dalle loro madri poco tempo dopo la nascita e messe in una gabbia con due madri artificiali: una scimmia fatta con fil di ferro e l’altra con gommapiuma morbida. Anche se la seconda scimmia non dispensava latte rispetto alla prima le scimmiette la preferivano e passavano la maggior parte del tempo aggrappate ad essa.

John Bowlby ha condotto e ispirato diverse ricerche che hanno indagato l’importanza di un legame di attaccamento sicuro e stabile nella definizione della personalità del soggetto e delle sue relazioni sociali. Un filone di studi in psicologia sostiene che un ambiente familiare in grado di provvedere ai bisogni del bambino e di trasmettergli fiducia e sicurezza è un fattore protettivo che riduce l’incidenza di comportamenti a rischio in adolescenza tra cui dipendenza da sostanze e disturbi alimentari (Bachar, 1998).

Uno studio condotto da Olson e colleghi nel 1997 ha constatato che rapporti di sostegno e comunicazione adeguati tra genitori e figli adolescenti sono correlati alla presenza o assenza di rischi psicosociali in quest’ultimi.

Uno studio di Zimmermann (1997) ha rilevato inoltre che la qualità della relazione e comunicazione col padre nei primi anni di vita e la sua sensibilità al gioco col figlio a due anni ha ripercussioni in adolescenza determinando nel ragazzo/a un coping (modalità di affrontare i problemi) più attivo e uno stile di adattamento  più alto.

Tutte queste considerazioni e ricerche sulla precocità della comunicazione genitore-figlio e sull’importanza di un legame di attaccamento stabile e sicuro ci permettono di trarre alcune conclusioni che cercherò di tradurre in piccoli consigli per i genitori.

Fin dai primi istanti di vita di un figlio è fondamentale che il genitore si sintonizzi con lui senza preconcetti e pregiudizi educativi oltre che sensi di colpa e paure di non essere in grado di rispondere ai suoi bisogni o, ancora,  di creare “irreparabili vizietti”.

Tutto ciò che mamma e papà devono fare è ritagliarsi, fin da subito, degli spazi da condividere con il loro bambino, ponendo anche dei “paletti” a ripetute visite di parenti e amici, almeno nei primi mesi; neomamme e neopapà devono fare dei respiri profondi e, semplicemente, sintonizzarsi con il loro bimbo/a tenendolo accanto a sé e trasmettendogli  vicinanza affinchè egli possa esprimersi sia nelle gioie e nel benessere che nei piccoli disagi e disturbi quotidiani. I consigli e i vari “io facevo così…” si possono ascoltare, analizzare e mettere in un “cassetto” per recuperarli solo se lo si ritiene opportuno.

Una buona pratica può essere autonomizzare gradualmente il proprio bambino, fargli capire che può provare piacere e gratificazione anche in ciò che non è esclusivamente contatto fisico col genitore  ma scoperta dell’ambiente circostante, trasmettendogli sempre sicurezza, fiducia e incentivandolo con espressioni facciali, corporee e verbali positive e rassicuranti.

E’ molto importante che entrambi i genitori passino del tempo di qualità con i loro figli, indipendentemente dall’età di quest’ultimi; è fondamentale ascoltarli, conversare con loro, valorizzarli e accettarli in maniera incondizionata.

Comunicare deve diventare quindi  un vero e proprio esercizio quotidiano dato da una costante attenzione rivolta all’altro; tutto ciò non è meccanico ma va creato, curato, aiutato ritagliandosi dei piccoli spazi di routine e condivisione di momenti con il proprio figlio come leggere un libro insieme, fare una gita allo zoo, fare una passeggiata, preparare un dolce e condividendo in generale esperienze e momenti di vita in famiglia.

Concludiamo con una frase che ha pronunciato qualche tempo fa un’ importante e preziosa figura di questo nostro tempo, Papa Francesco:

“ La famiglia è il luogo dove si impara ad amare, il centro naturale della vita umana. La famiglia è il motore del Mondo e della Storia”.

*la versione ridotta di questo articolo è stata pubblicata nella rivista Magazine.