Falsi miti sulle balbuzie
Ancora oggi molti credono che la balbuzie dipenda da fattori emotivi e che le persone che balbettano abbiano subito un trauma, siano ansiose o nervose, o timide poco brillanti e che abbiano difficoltà a relazionarsi con gli altri; ma non è così.
Cos’è la balbuzie
La balbuzie è un disturbo complesso e multifattoriale, non esiste una causa diretta ma diversi fattori che interagiscono tra loro. Questi fattori sono la familiarità, infatti la balbuzie ha una forte base ereditaria: il 75% delle persone che balbettano ha un parente che balbetta(Kloth, Janssen, Kraaimaat & Brutten, 1995). Altri fattori predisponenti posso essere neurofisiologici: esistono delle differenze di tipo strutturale e funzionale nell’attività cerebrale di adulti che balbettano rispetto ai normofluenti (Foundas et al., 2001; Sommer et al., 2002; Brown et al.,2005), oppure fattori ambientali e caratteriali, per esempio un ambiente richiestivo, inclinazione al perfezionismo, elevata sensibilità, scarsa autostima… (Felsenfeld et al., 2000).
Definizione di balbuzie
Non esiste una definizione universale di balbuzie, poiché si tratta di un disturbo complesso ed eterogeneo che combina due elementi distinti, ma intrecciati: le caratteristiche direttamente osservabili del parlato interrotto e le reazioni e le sensazioni del soggetto, in relazione al suo parlato.
Attualmente la definizione più accreditata è quella dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (O.M.S., ICD 1977), che afferma: “La balbuzie è un disordine del ritmo della parola, nel quale l’individuo sa con precisione ciò che vorrebbe dire, ma allo stesso tempo non è in grado di dirlo a causa di arresti, ripetizioni e/o prolungamenti di suono che hanno carattere di involontarietà”.
Per quanto riguarda i criteri diagnostici (DSM -5) la balbuzie viene definita come un disturbo della fluenza a esordio nell’infanzia e classificato tra i disturbi del neurosviluppo e i disturbi della comunicazione.
Balbuzie in numeri
La balbuzie interessa circa l’1 %della popolazione mondiale e ha esordio tra i 2 e i 5 anni, in media intorno ai 33 mesi (Yairi & Ambrose, 2005; Månsson,2005; Reilly et al., 2009) e si manifesta quando i bambini iniziano ad espandere il vocabolario. In alcuni casi può essere un disturbo transitorio che si risolve spontaneamente. (*) Tuttavia se il disturbo dovesse persistere per più di 6 mesi o un anno è bene rivolgersi a un logopedista soprattutto se il bambino inizia ad adottare dei comportamenti di evitamento e notate dei movimenti associati alle disfluenze come: tic orofacciali, contrazioni dei muscoli della bocca o ammiccamenti frequenti. In questi casi è importante valutare eventuali fattori di rischio per una cronicizzazione del disturbo e intervenire precocemente.
(*) Secondo Yairi & Ambrose (2005) la remissione spontanea interessa 4 bambini su 5 e avviene al massimo entro 5 anni dal momento dell’insorgenza; in particolare il 75% delle remissioni spontanee avviene entro i primi 3 anni. Inoltre il sesso maschile risulta essere più colpito, con un iniziale rapporto M/F di 2:1, mentre, in età adulta il rapporto M/F è di 4:1 grazie al maggior tasso di guarigione spontanea tra le bambine.
Cosa possiamo fare se ci accorgiamo che il bambino balbetta?
✅ Innanzitutto è importante mantenere il contatto oculare con il bambino soprattutto mentre balbetta.
✅ Cercare di parlare con tono calmo e lentamente, dando un modello di fluidità verbale e rispettando i turni comunicativi.
❌ Non anticipare le frasi o finire le parole al posto del bambino.
❌ Non mettere fretta usando espressione come “dai, su…”
❌ Evitare di dire “stai calmo, respira, prendi fiato…”
👉 Quindi è fondamentale far capire al bambino che lo accettate per quello che è indipendentemente dalla sua balbuzie. Questo aumenterà la fiducia in sé e l’autoaccettazione del bambino. 👈